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Halloween era festeggiata anche in Italia

Halloween era festeggiata in origine anche in Italia. Anche qui da noi i ragazzini andavano in giro a fare la “questua” di Ognissanti e la tradizione era diffusa in tutta Italia, molto probabilmente a memoria delle feste dell’Antica Roma di Pomona e di Parentalia.

Le radici della festa di Halloween si trovano, secondo alcuni storici, nella festa dell’Antica Roma di “Pomona”, la Dea della frutta e dei semi, o nella festa, sempre dell’Antica Roma, dedicata ai defunti “Parentalia”, altri ancora la fanno discendere dalla festa celtica di Samuin, oggi Samhain, (pronuncia Sauin o Savin) che segnava la fine dell’estate.

La parola Halloween risale al 16° secolo ed è una parola usata per abbreviare la frase originaria “All-Hallows-Even”, dove “even” sta per “evening” (sera), cioè la sera prima di All Hallows Day, il Giorno di Ognisssanti. La frase All-Hallows ha origine nell’Old English (Antico inglese) nella frase “ealra hālgena mæssedæg” (giorno della messa di ognissanti), la frase “All-Hallows-Even” non appare prima del 1556.

La tradizione di Halloween di fare le lanterne svuotando e intagliando delle zucche, le “jack-o’-lanterns” derivano dall’usanza europea di fare delle lanterne svuotando e intagliando le rape per ricordare i parenti e gli amici defunti e le anime del purgatorio. In Irlanda e in Scozia si svuotavano e intagliavano le rape per la festa di Samhain e gli emigranti irlandesi e scozzesi in America del Nord hanno iniziato a fare le lanterne con le zucche, autoctone del Nuovo Mondo e più facili da reperire e lavorare sin dal 1837, ma queste lanterne di zucca erano usate non solo per la celebrazione di Halloeween ma anche per altre feste legate al tempo del raccolto. La tradizione di fare delle lanterne con le zucche solo per Halloween risale alla seconda metà del 19° secolo.

La tradizione della “questua” del “trick-or-treat” (dolcetto o scherzetto) praticata dai bambini negli Stati Uniti d’America ha radici molto antiche che si ritrovano nelle varie forma di “questua” praticate in Europa prima dell’immigrazione verso il Nuovo Mondo. La “questua” di Ognissanti e del Giorno dei Morti era praticata anche in tutta Italia, oltre che in Scozia e in Irlanda.

La notte di Halloween i bambini e i ragazzi vanno a bussare di porta in porta chiedendo un’offerta in dolciumi o a volte anche soldi dicendo “Trick or treat?”, che noi traduciamo con “Dolcetto o Scherzetto”, perché la parola “trick” si riferisce, cela la parola “threat” (minaccia) e la minaccia era quella di fare degli scherzetti dispettosi a coloro che si rifiutavano di fare un’offerta. L’usanza di vestirsi in costume, di travestirsi era praticata un tempo in tutta Europa nel periodo di Ognissanti e del Giorno dei Morti, non solo in Irlanda, Scozia e Gran Bretagna, ma anche e ancor prima, in Italia. Shakespeare la menziona nella commedia The Two Gentlemen of Verona (I Due Gentiluomini di Verona) del 1593.

Nel Giorno dei Morti la questua era una delle usanze più diffuse in tutta Italia.

Nel Lazio, a Blera (Bieda), il primo novembre, i bimbi minori di nove anni andavano di casa in casa a chiedere la carità per i morti, e raccoglievano doni sotto forma di derrate alimentari.

In Sardegna i bambini, prima di cena, andavano a bussare alle porte delle case dicendo “Morti, morti” e ne ricevevano dolci, frutta secca e qualche volta anche denaro.

In Abruzzo, invece erano i ragazzi a bussare alle porte delle case chiedendo offerte per le anime dei morti e ricevevevano dolci e frutta fresca e secca.

In Emilia Romagna la questua veniva fatta dai poveri, che bussavano alle porte chiedendo la carità per i morti e ricevendone cibo.

In Puglia ragazzi e contadini bussavano alle case cantando una sorta di serenata alla ricerca dell’aneme de muerte (l’anima dei morti) e venivano fatti entrare in casa e rifocillati con vino, castagne e taralli.

Secondo la cultura tradizionale di molte località italiane, la notte del Giorno dei Morti le anime dei defunti tornerebbero dall’aldilà effettuando delle processioni per le vie del borgo. In alcune zone, conformemente a quanto avviene nel mondo anglosassone in occasione della festa di Halloween, era tradizione scavare e intagliare le zucche e porvi poi una candela all’interno per utilizzarle come lanterne.

L’immaginario della festa di Halloween è tutto rivolto verso le storie di fantasmi, di vampiri, i film horror, i racconti che fanno paura, tutto ciò che fa paura e che è legato al mondo dei morti e dei fantasmi, di questo tipo di sovrannaturale, un soprannaturale snaturato dalle superstizioni e dalle menzogne del bigottismo cristiano, tipo tutte le storie legate alle streghe malvagie e al diavolo con i gatti neri come simbolo del diavolo e portatore di sfortuna, discostandosi di molto dalla festa originaria di Samhain. Anche se il senso della morte è stato distorto come il senso della festa stessa, la morte rimane presente nella festa di Halloween, la morte e gli spiriti degli antenati che, in questa festa moderna, non tornano a dare consigli ai loro cari rimasti in vita, ma tornano in questa dimensione spazio-temporale solo per fare paura, per fare del male e tutte le stupidate tipiche della cultura cristiana superstiziosa e bigotta.

A Halloween le case vengono decorate con gli elementi e i colori tipici della stagione autunnale, specialmente con quelli tipici del Nuovo Mondo tipo le zucche ed il colore arancione, ma si trovano anche elementi provenienti dalla originaria festa di Samhain come le mele, le castagne, le nocciole, il colore rosso e il nero e anche il marrone e il verde bosco.

Per la festa di Halloween negli USA si producono centinaia di migliaia di cartoline a tema, cartacee e virtuali tutte sempre piene dei soliti luoghi comuni di fantasmi, streghe malvage vestite di nero, gatti neri portasfortuna e morte maligna. Tutte queste superstizioni ignoranti hanno portato all’usanza disgustosa e allucinante, praticata purtroppo anche in Italia, di uccidere dei gatti neri sia perchè portano sfortuna e sono il simbolo del diavolo dei cristiani, sia perché vengono sacrificati da satanisti dell’ultim’ora per ottenere i favori del satana/diavolo prodotto DOC della cultura cristiana.

Anche ad Halloween come a Samhain vengono praticate diverse forme di divinazione, ma più per gioco superstizioso e scaramantico, più per scherzo, che come vera e propria divinazione, compresa l’evocazione degli spiriti con la famosa Tavola Ouija.

Ad Halloween, oltre alla zucca, si mangiano le “candy apples”, le “mele stregate”, delle mele caramellate con aggiunta di un colorante alimentare rosso.

Alcuni cristiani accettano la festa di Halloween come momento per i bambini per conoscere parlare della morte, del male e del diavolo in modo divertente, ma molti altri invece pensano che sia solo una festa consumistica, la mettono in cattiva luce come simbolo del consumismo o dell’occulto o come memoria di tradizioni pagane o la ignorano e si impegnano a promuovere e diffondere le usanze delle diverse chiese cristiane.

Foto: Mimmo Jodice, Napoli (NA), Italia, 1972

Credit foto: Mimmo Jodice, Napoli (NA), Italia, 1972

Samhain/Halloween 2019 al FullMoonClub Roma

Samhain/Halloween 2019 al FullMoonClub Roma. Come ogni anno al FullMoonClub Roma si ripete l’evento Samhain/Halloween, una notte per celebrare insieme la festa di Samhain e per divertirsi festeggiando la meno spirituale Halloween.

La serata al FullMoonClub Roma inizia alle ore 21:30 con l’incontro per celebrare, in via molto semplice, Samhain, condividendo del Pan di Spezie offerto dal FullMoonClub Roma, da gustare per chi ne avesse voglia con uno dei vini speziati in vendita al locale: il Tir na nOg o il Sanguis Draconis.

La serata Samhain/Halloween prosegue unendo Samhain alla meno spirituale festa di Halloween al termine della quale verranno premiate le maschere più belle. Ricordate di venire mascherati se volete partecipare all’estrazione dei premi. Sulla pagina Facebook del FullMoonClub Roma potete vedere le foto delle precedenti feste, che saranno presto disponibili anche sul sito web del locale dove sono visibili anche le premiazioni dei precedenti anni.

Il FullMoonClub di Roma ospita dal 2005 il Pagan Moot romano.

SAMHAIN/HALLOWEEN 0ct 31 2019

FullMoonClub

via Luigi Santini 12/13

Roma – Italia

SAMHAIN:

“In Shadow, the Light”

Thursday,October 31st 2019

As of 09:30 p.m. we will share Pain D’Epices

with all those willing to celebrate Samhain

HALLOWEEN:

Best Costume Contest

After midnight, the 3 best costumes will be awarded with:

1st prize: 1 lt of beer/two crafted beers

2nd prize: a pint/a crafted beer

3 prize: half a pint/a shot

SAMHAIN:

“Nell’Ombra è la Luce”:

Giovedì 31 ottobre 2019

a partire dalle ore 21:30

Condivideremo il Pan di Spezie

con tutti coloro che festeggiano Samhain

HALLOWEEN:

Giovedì 31 ottobre 2019

ore 24:00:

premiazione delle 3 maschere più belle

Primo premio: 1 lt di birra/due birre artigianali

Secondo premio: una media/una artigianale

Terzo premio: una piccola/uno shot

Non mancate di venire mascherati!

Día de los Muertos

Il Día de los Muertos, il Giorno dei Morti, è una festa nazionale messicana, celebrata l’1 e il 2 novembre, durante la quale famiglie e amici si riuniscono per pregare per i parenti e gli amici defunti. La festa del Día de los Muertos corrisponde alle feste cattoliche di Ognissanti e della Commemorazoine dei Defunti. Tra le tradizioni della festa del Día de los Muertos ha un ruolo particolarmente importante la costruzione di altari privati per onorare i defunti allestiti con teschi di zucchero, tagetes e il cibo e le bevande preferite dei cari defunti che vengono anche lasciati sulle tombe di parenti e amici defunti, per fare in modo che i defunti ascoltino le preghiere e le suppliche di parenti e amici vivi.

Alcune ricerche fanno risalire la festa messicana del Giorno dei Morti ad una festa di origine Azteca in onore della Dea Mictecacihuatl, anche se l’ipotesi più plausibile sull’origine di questa festa va cercata nella fusione tra una precedente festa pagana e le feste cristiane di Ognissanti e della Commemorazione dei Defunti. La festa Atzeca in onore dei defunti cadeva però il nono mese del calendario azteco che corrisponde al nostro mese di agosto ed era dedicata alla Dea chiamata la “Signora dei Morti”, che corrisponde alla moderna Catrina.

In molte regioni del Messico il 1° novembre si onorano i defunti bambini e neonati e il 2 novembre i defunti adulti, infatti il 1° novembre è chiamato Día de los Inocentes (Giorno degli Innocenti) e anche Día de los Angelitos (Giorno degli Angioletti), e il 2 novembre è chiamato Día de los Difuntos (Giorno dei Defunti).

Nei giorni della festa Día de los Muertos le famiglie, di solito, passano del tempo a pulire e a decorare le tombe con offerte ai morti, le offerte più numerose sono un tipo di tagetes, il tagetes erecta, tipico delle regioni del Messico, chiamata anche calendula messicana, ma anche cempasúchitl o cempoalxochitl che in Nahuatl significa “venti fiori”, oggi chiamata semplicemente Flor de Muerto (Fiore dei Morti). Si dice che questi fiori guidino le anome dei morti verso le offerte.

Ai bambini defunti, agli angelitos, vengono portati dei giocattoli come offerta e agli adulti vengono portate bottiglie di tequila o di pulque o anche vasi di atole (una bevanda messicana). Tra le offerte lasciate sulle tombe vengono inclusi anche i dolci preferiti dei cari defunti o dei dolci specifici fatti proprio in occasione della festa del Día de los Muertos. Altri dolci venivano consumati in casa per la festa, dolci fatti con la zucca, zucca candita, il pan de muerto (pane dei morti), e teschi di zucchero, accompagnati da bevande tradizionali come l’atole. Le offerte vengono anche lasciate fuori delle case come gesto di benvenuto per i morti.

Molte persone pensano che gli spiriti dei morti si nutrono dell’essenza spirituale dei cibi che vengono loro offerti e che se si mangia fisicamente il cibo offerto ai morti questo sarà privato dei suoi valori nutrizionali. Fuori delle case vengono a volte lasciati anche dei cuscini e delle coperte per permettere ai defunti di riposare dopo il viaggio dal mondo dei morti a quello dei vivi. In alcune parti del Messico, tipo nelle città di Mixquic, Pátzcuaro e Janitzio, le persone passano tutta la notte sulle tombe dei cari defunti e spesso consumano anche i pasti accanto alle tombe.

Sugli altari ella festa del Giorno dei Morti vengono messi, oltre ai teschi di zucchero, ai fiori, al cibo e alle bevande, vengono spesso messe anche delle statuette della Vergine Maria, foto dei morti e di persone a loro vicine e candele. La gente si raccoglie davanti all’atare o alla tomba e racconta aneddoti sulla vita del caro estinto, a volte si indossano gli abiti del defunto o si appendono delle conchiglie agli abiti così che durante i balli il suono delle conchiglie sveglierà i morti.

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Durante la festa del Día de los Muertos (Giorno dei Morti) si costruiscono anche a scuola degli altari in onore dei defunti omettendo però i simboli religiosi; gli uffici governativi hanno almeno un altare dei morti perché questa festa è considerata molto importante per l’identità culturale Messicana.

Alla festa del Día de los Muertos, alcune persone particolarmente portate scrivono dei poemetti detti “calaveras” (scheletri), si tratta di poemi con finti epitaffi per amici, o aneddoti divertenti, o descrivono abitudini e attitudini delle persone, usanza che risale ai secoli 18° e 19°. I giornali dedicano dei “calaveras” a persone famose, con fumetti con scheletri nello stile del famoso illustratore messicano José Guadalupe Posada, che ha creato la famosa stampa “ La Calavera de la Catrina”, una sorta di parodia della donna messicana delle classi sociali superiori. L’immagine creata da Posada della donna ben vestita con la faccia di teschio è diventata un simbolo della festa del Giorno dei Morti.

Simbolo per eccellenza della festa del Día de los Muertos è il teschio, chiamato comunemente calavera, usato nelle maschere dei celebranti dette calacas (termine popolare per “scheletro”) e riprodotto in dolci di zucchero e cioccolato. I teschi di zucchero possono essere regalati sia ai vivi che ai morti.

Le tradizioni della festa del Día de los Muertos non sono tutte uguali e variano da città a città del Messico e anche nel territorio Statunitense a seconda della provenienza degli immigrati dal Messico e da altre parti dell’America Latina, e in alcune città statunitensi tipo a Tucson e a San Francisco si organizzano anche eventi pubblici.

In Guatemala il giorno della festa del Día de los Muertos si costruiscono e si fanno volade degli aquiloni oltre che andare in visita alle tombe dei parenti defunti.

In Equador il Giorno dei Morti è molto importante per gli indigeni Kichwa, le famiglie Kichwa si riuniscono nel cimitero cittadino con le loro offerte di cibo e bevande per mangiare accanto alle tombe dei cari estinti e si fermano fino a notte.

In Brasile il Dia de Finados, celebrata il 2 novembre, è una festa pubblica nella quale si visitano chiese e cimiteri.

Ad Haiti la tradizione Voodoo ormai unita alla tradizione Cattolica, celebra la festa del Giorno dei Morti con celebrazioni nei cimiteri che durano tutta la notte al suono di tamburi ed altri strumenti per svegliare Baron Samedi, il Loa dei morti e tutta la sua famiglia, i Gede.

A La Paz, in Bolivia, il 9 novembre si celebra il Dia de los ñatitas (Giorno dei Teschi) che deriva da antiche celebrazioni indigene precolombiane, questa giornata si passava con le ossa dei defunti al terzo anno di sepoltura, oggi vengono usati solo i teschi, per tradizione i teschi di uno o più membri della famiglia sepolti da tre anni vengono portati a casa per vegliare sulla famiglia e proteggerla nel corso dell’anno, il 9 di novembre questi teschi vengono incoronati con fiori freschi e altre decorazioni e vengono loro offerte delle sigarette, foglie di coca, alcool e altro per compiacere i morti ed assicurarsi la loro protezione. A volte i teschi vengono portati al cimitero centrale di La Paz dove viene officiata una messa speciale in loro onore e gli viene impartita la benedizione.

In Spagna la festa del Giorno dei Morti si celebra come un carnevale, con processioni e musica, e alla fine della giornata si va nei cimiteri a pregare per i cari defunti. Il Giorno dei Morti si celebra oltre che in tutta Europa anche in molte culture ai asia e Africa.

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Fonte:

Cadafalch, Antoni. The Day of the Dead. Korero Books, 2011.

Brandes, Stanley, Skulls to the Living, Bread to the Dead. Blackwell Publishing.

Haley, Shawn D.; Fukuda, Curt. Day of the Dead: When Two Worlds Meet in Oaxaca. Berhahn Books, 2004.

Lomnitz, Claudio. Death and the Idea of Mexico. Zone Books, 2005.

Ramos, L. (1988) Cultura Classica Preispanica: le radici dell’Smerica indigena. Madrid : Anaya

Ochoa, J. (1974) La morte ed i morti. Messico: SepSetentas

Florescano, E. (1995) Miti Messicani. Messico: Aguilar Nuevo Siglo

Ognissanti e il Giorno dei Morti

Ognissanti e il Giorno dei Morti sono due feste che cadono a Novembre, due feste distinte ma parte di una sola festa che le antiche popolazioni celtiche d’Europa chiamavano Samhain.

La festa di Ognissanti, nota anche come Tutti i Santi, è una solennità che celebra insieme la gloria e l’onore di tutti i Santi canonizzati e non. Va ricordato che i Santi, oltre ad essere delle persone esistite e distintesi per le loro opere di fede, sono anche delle figure che vanno a coprire il posto occupato dalle numerose Divinità, superiori e minori, venerate molto tempo prima dell’avvento del cristianesimo in Europa. La festa della Chiesa Cattolica, in latino Festabant Omnium Sanctorum, cade il 1º novembre, seguita il 2 novembre dalla Commemorazione dei Defunti, ed è una festa di precetto che prevedeva una veglia e un’ottava nel calendario della forma straordinaria del rito romano.

La festa di Ognissanti celebrata dalla Chiesa Ortodossa d’Oriente cade invece la prima domenica dopo la Pentecoste e, in quanto tale, segna la chiusura del ciclo pasquale, andando ad occupare il posto della festa Romana di Lemuria.

Le commemorazioni dei martiri, comuni a diverse Chiese, cominciarono ad esser celebrate nel IV secolo. Le prime tracce di una celebrazione generale sono attestate ad Antiochia, e fanno riferimento alla Domenica successiva alla Pentecoste. Questa usanza viene citata anche nella settantaquattresima omelia di Giovanni Crisostomo (407) ed è preservata fino ad oggi dalla Chiesa Ortodossa d’Oriente.

Come data di celebrazione della festività di Ognissanti fu scelto il 1º novembre per farla coincidere con il Samhain, l’antica festa celtica del nuovo anno, a seguito di richieste in tal senso provenienti dal mondo monastico irlandese. Secondo le credenze celtiche durante la celebrazione del Samhain, i morti avrebbero potuto ritornare nei luoghi che frequentavano mentre erano in vita, e celebrazioni gioiose erano tenute in loro onore. Da questo punto di vista le antiche tribù celtiche erano un tutt’uno col loro passato ed il loro futuro. Questo aspetto della festa non fu mai eliminato pienamente, nemmeno con l’avvento del Cristianesimo che infatti il 2 novembre celebra i defunti.

Papa Gregorio III (731-741) scelse il 1º novembre come data dell’anniversario della consacrazione di una cappella a San Pietro alle reliquie “dei santi apostoli e di tutti i santi, martiri e confessori, e di tutti i giusti resi perfetti che riposano in pace in tutto il mondo”. Arrivati ai tempi di Carlo Magno, la festività novembrina di Ognissanti era diffusamente celebrata.

Il 1º novembre venne decretato festa di precetto da parte del re franco Luigi il Pio nell’835. Il decreto fu emesso “su richiesta di papa Gregorio IV e con il consenso di tutti i vescovi”.(…)

La Commemorazione dei defunti, in latino Commemoratio Omnium Fidelium Defunctorum, ossia Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti, è una ricorrenza della Chiesa Cattolica. Il Giorno dei Morti è festeggiato in molti paesi cattolici e cristiani el mondo, Día de los Muertos o Día de los Difuntos nei Paesi di lingua spagnola; All Souls’ Day o Feast of All Souls, The Commemoration of All the Faithful Departed. o ancora Day of the Dead, nei Paesi di lingua inglese; halottak napja in UNgheria; Yom el Maouta in Israele, Libano e Siria.

Era anticamente preceduta da una Novena e celebrata il 2 novembre di ogni anno. Nel calendario liturgico segue la festività di Ognissanti, che ricorre infatti il 1º novembre. Nella forma straordinaria del rito romano era previsto che nel caso in cui il 2 novembre cadesse di domenica, la ricorrenza sarebbe stata celebrata il giorno successivo, lunedì 3 novembre. In Italia, benché molti lo considerino come un giorno festivo, la ricorrenza non è mai stata ufficialmente istituita come festività civile.

La tradizione del mondo occidentale di pregare per i morti viene fatta risalire al Secondo Libro dei Maccabei (2Maccabei 12:42-46), mentre nella chiesa latina il rito viene fatto risalire all’abate benedettino Sant’Odilone di Cluny nel 998, che istituì un giorno speciale, il 2 novembre, dedicata ai defunti e alle preghiere per i morti. Con la riforma cluniacense stabilì infatti che le campane dell’abbazia fossero fatte suonare con rintocchi funebri dopo i vespri del 1 novembre per celebrare i defunti, ed il giorno dopo l’eucaristia sarebbe stata offerta “pro requie omnium defunctorum”. Questa usanza si diffuse velocemente in Europa, prima nelle diocesi francesi, fu accettata dalla Chiesa di Roma solo nel 14° secolo e il rito venne esteso poi a tutta la Chiesa Cattolica. Ufficialmente la festività del Giorno dei Morti, chiamata originariamente Anniversarium Omnium Animarum, appare per la prima volta nell’Ordo Romanus del XIV secolo. Oggi si celebra come Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti. Anche se il giorno dei morti cade solo il 2 novembre, tutto il mese fu, ed è ancora oggi, associato per i credenti cattolici e cristiani occidentali alla commemorazione dei defunti. A novembre ci si reca in visita ai defunti nei luoghi della loro sepoltura portando fiori per onorarli e ricordarli che verranno posti sulle loro tombe. In molti paesi si preparano anche dei menu speciali per il giorno dei morti con un’attenzione particolare ai dolci.

L’usanza di preparare in casa una specie di altare con le foto e alcuni oggetti appartenuti ai defunti davanti ai quali venivano accese delle candele è rimasta viva in Messico dove, in alcune abitazioni, è ancora consuetudine preparare l’altare dei morti che viene preparato con immagini e oggetti del defunto, una croce, un arco e incenso. Viene preparato questo altare perché la tradizione popolare vuole che gli spiriti dei morti tornano in questa dimensione spazio-temporale a trovare i parenti vivi e l’altare viene allestito in segno di rispetto e per accoglierli.

Nei paesi dell’America Centrale è consuetudine, oltre a visitare i cimiteri, addobbare le tombe con fiori, oltre che depositare sulle stesse giocattoli, nel caso in cui il defunto sia un bambino, o alcolici e tabacco se il defunto è un adulto.

In Ungheria gli orfani vengono invitati a passare la giornata con una famiglia. Al termine vengono regalati loro dei giocattoli e dei dolci.

In Italia è consuetudine nel giorno dedicato al ricordo dei morti visitare i cimiteri locali e portare in dono fiori sulle tombe dei propri cari. In molte località italiane è diffusa l’usanza di preparare alcuni dolciumi, chiamati infatti dolci dei morti, per celebrare la giornata.

In Sicilia durante la notte di Ognissanti la credenza vuole che i defunti della famiglia lascino dei regali per i bambini insieme alla frutta di Martorana e altri dolci caratteristici.

piada dei morti

Nella provincia di Massa Carrara la giornata è l’occasione del bèn d’i morti, con il quale in origine gli estinti lasciavano in eredità alla famiglia l’onore di distribuire cibo ai più bisognosi, mentre chi possedeva una cantina offriva ad ognuno un bicchiere di vino; ai bambini inoltre veniva messa al collo la sfilza, una collana fatta di mele e castagne bollite.

ave dei morti

Nella zona del monte Argentario era tradizione cucire delle grandi tasche sulla parte anteriore dei vestiti dei bambini orfani, affinché ognuno potesse metterci qualcosa in offerta, cibo o denaro. Vi era inoltre l’usanza di mettere delle piccole scarpe sulle tombe dei bambini defunti perché si pensava che nella notte del 2 novembre le loro anime, dette angioletti, tornassero in mezzo ai vivi.

In Piemonte si aggiungeva un posto a tavola per i morti che sarebbero poi arrivati in visita.

In Puglia ed in Toscana la tavola veniva apparecchiata appositamente in Sardegna la tavola dopo cena non veniva sparecchiava per consentire ai defunti di rifocillarsi durante la notte.

ossa dei morti

In Puglia, a Manfredonia: dove alla viglia del Giorno dei Morti i bambini appendevano al bordo dei loro letti delle calze, chiamate “cavezette di murte” e, che durante la notte,venivano riempite di dolci dai defunti che passavano.

In Liguria il Giorno dei Morti vengono preparati i “bacilli” che sono fave secche e i “balletti” che sono castagne bollite.

Pan dei morti

Nel cremonese ci si alza la mattina presto e vengono sistemati subito i letti affinché le anime dei propri cari possano trovarvi riposo. Si gira poi per le abitazioni raccogliendio pane e farina per cucinare dolci tipici chiamati “ossa dei morti”.

torrone dei morti

A Roma il Giorno dei Morti, si consumava il pasto accanto alla tomba di un parente morto per tenergli compagnia. Sempre a Roma veniva officiata una cerimonia di suffragio per i defunti che avevano trovato la morte nel Tevere. La cerimonia aveva luogo la sera sulle sponde del fiume al lume delle torce.

Nel Giorno dei Morti la questua era una delle usanze più diffuse in tutta Italia.

In Sardegna i bambini, prima di cena, andavano a bussare alle porte delle case dicendo “Morti, morti” e ne ricevevano dolci, frutta secca e qualche volta anche denaro.

In Abruzzo, invece erano i ragazzi a bussare alle porte delle case chiedendo offerte per le anime dei morti e ricevevevano dolci e frutta fresca e secca.

In Emilia Romagna la questua veniva fatta dai poveri, che bussavano alle porte chiedendo la carità per i morti e ricevendone cibo.

In Puglia ragazzi e contadini bussavano alle case cantando una sorta di serenata alla ricerca dell’aneme de muerte (l’anima dei morti) e venivano fatti entrare in casa e rifocillati con vino, castagne e taralli.

Nelle comunità dell’Italia meridionale dell’Eparchia di Lungro e dell’Eparchia di Piana degli Albanesi si commemorano i defunti secondo la tradizione orientale di rito greco-bizantino. Le celebrazioni vengono effettuate nelle settimane precedenti la Quaresima.

Secondo la cultura tradizionale di molte località italiane, la notte del Giorno dei Morti le anime dei defunti tornerebbero dall’aldilà effettuando delle processioni per le vie del borgo. In alcune zone, conformemente a quanto avviene nel mondo anglosassone in occasione della festa di Halloween, era tradizione scavare e intagliare le zucche e porvi poi una candela all’interno per utilizzarle come lanterne.

Fonte:

Mershman, Francis (1907). “All Souls’ Day”. Catholic Encyclopedia. 1. New York: Robert Appleton Company.

Hutton, Ronald (1996). Stations of the Sun: A History of the Ritual Year in Britain. New York: Oxford Paperbacks.

The Catholic Encyclopedia (New York, Robert Appleton Company, 1907), s.v. “All Saints’ Day”

C. Smith The New Catholic Encyclopedia 1967.

A. Fornari, Le feste dell’anno, in Cultura contadina in Toscana, volume II, Bonechi, Firenze 1989

Felice Beltaine, Festa di Luce, Calore e Umidità

Felice Beltaine, Festa di Luce, Calore e Umidità!

Beltane (Beltaine) è la forma in inglese moderno della parola in Antico Irlandese Bel(l)taine o Beltine in Irlandese Moderno, Bealltainn in Gaelico Scozzese, il nome indica il mese di maggio e la festa celebrata dal tramonto del 30 aprile al tramponto del 1° maggio. Nell’emisfero sud è celebrata dal tramonto del 31 ottobre al tramonto del 1° novembre. Beltaine segnava l’inizio dell’estate per i popoli Gaeli, e assieme a Samhain erano le date dell’inizio e della fine dell’anno civile nell’Irlanda medievale.
Beltaine era una festa Gaelica celebrata in Gallia, Irlanda, Scozia, nell’Inghilterra Celtica e nell’Isola di Mann. Oggi Beltaine è celebrata in Galless e da diversi gruppi Neopagani e Wicca in tutto il mondo.
La festa di Beltaine è conosciuta anche come Lá Bealtaine, Bealltainn, Beltain, Beltaine, Boaltinn, Boaldyn, Belotenia, Gŵyl Galan Mai, ed è messa in relazione con altre feste simili che cadono nello stesso periodo: la Notte di Walpurga, Calan Mai (il primo giorno d’estate in Galless, chiamato anche Calan Haf) e il festival di primavera di Calendimaggio o Palo di Maggio, che nella seconda metà del 1800 coinciderà con la neonata festa dei Lavoratori.

La festa di Beltaine è celebrata da diversi gruppi Neopagani in modi e con nomi diversi dato che i gruppi Neopagani differiscono anche molto tra le diverse tradizioni e le celebrazioni sono spesso molto diverse tra loro nonostante il nome della festa sia lo stesso. Alcuni gruppi Neopagani dicono di seguire fedelmente le antiche tradizioni, anche se tutto quello che si sa delle antiche tradizioni di popoli dalla cultura orale è stato tramandato attraverso dei libri scritti in epoca ormai cristiana e dai reperti archeologici, che sono comunque interpretai dai vari accademici di turno secondo la loro cultura e le loro conoscenze. Porre pertanto l’enfasi sulla corretta ricostruzione storica di tradizioni così antiche è limitato e limitante e certamente per nulla più valido di quelle Vie Neopagane che vivono le antiche usanze tenendo conto del periodo storico in cui si collocano nella loro esistenza presente e della loro cultura sostenuta dalle conoscenze dell’epoca in cui vivono.

I Neopagani Ricostruzionisti Celtici celebrano Beltaine (Là Bealtaine) quando fiorisce il biancospino nei loro territori, o la prima notte di luna piena più prossima al primo maggio.
Per la festa di Beltaine è tradizione recarsi in pellegrinaggio ai pozzi sacri dove vengono fatte delle offerte e delle preghiere agli Spiriti del Luogo e alle Divinità dei pozzi.
I Wicca a Beltaine celebrano anche l’unione rituale della Signora di Maggio e del Signore di Maggio, e praticano la danza del Palo di Maggio.

A Beltaine gli esseri si aprono al calore, alla luce e all’umidità e celebrano nell’unione il mistero della danza della vita. E’ la festa della Primavera al suo massimo splendore e segna l’avvento dell’Estate. In questo periodo le Pleiadi sorgono la mattina poco prima del Sole all’orizzonte. A Samhain le Pleiadi sorgonola sera poco prima del tramonto del Sole all’Orizzonte.
Le Pleiadi sono chiamate anche le Sette Sorelle, sono un ammasso aperto visibile nella costellazione del Toro, costituito da circa duemila stelle poste a circa 380 anni luce dalla Terra. Sono chiamate le Sette Sorelle perché ad occhio nudo sono visibili solo sette stelle più brillanti.
Nella mitologia greca, le Sette Sorelle erano tradizionalmente chiamate Asterope, Merope (o Dryope o Aero), Elettra, Maia, Taigete, Celaeno e Alcyone. Questi nomi sono oggi assegnati a singole stelle dell’ammasso. Erano, secondo la mitologia, ninfe delle montagne (Oreadi), le figlie di Atlante e Pleione, anch’essi rappresentati da stelle nell’ammasso; erano anche nipoti di Giapeto e Climene, e sorelle delle Iadi, di Calipso e Dione. Si suicidarono dopo la morte delle loro sorelle, le Iadi.
Le Ninfe della Mitologia Greca erano suddivise in gruppi distinti:
5 Iadi: “propiziatrici di pioggia”, a loro venne affidato Dioniso, il Dio dei Misteri.
7 Pleiadi: guidate dalla Ninfa Alcyone, figlia di Atlante e Pleione.
3 Esperidi: Espera, Egle, Eriteide, vissute in occidente, figlie di Atlante ed Esperia.
3 Arpie: figlie di Taumante e della Ninfa oceanica Elettra, figlia di Atlante.

Beltaine e Samhain dividono l’anno in due parti, in una prevale la luce, a Beltaine, nell’altra prevale l’oscurità, a Samhain.
A Beltaine e Samhain si aprono le porte tra i mondi, questi sono i giorni del “tempo non tempo”, ed è un ottimo periodo per le operazioni magiche.
Beltaine segna il tempo dello sbocciare della maggior parte dei fiori e dell’ sbocciare della sesualità nei giovani che si uniscono nell’atto sessuale per generare nuova vita, e lo sbocciare della forza, del vigore della creatività per praticare un’unione anche su altri piani per generare nuova vita e nuove opere anche su altri piani. E’ il tempo della creatività, sbocciano i fiori dell’Arte che daranno frutto in seguito.

I primi giorni di maggio in molti paesi d’Europa, dal Mediterraneo al Mare del Nord, si celebravano e si celebrano riti di fecondità, le Nozze sacre tra la Dea e il Dio, tra la Sposa e lo Sposo di Maggio che simboleggiavano e garanivano la ciclicità della Vita e la fecondità della Terra.

Il mese di maggio era dedicato dagli Antichi Romani alla Dea Maia, Dea della Terra, figlia di Atlante che con Zeus generò Hermes. Maia era anche una delle Pleiadi e sembra che la Dea dell’Antica Roma sia derivata proprio dalla Maia greca. Maia era associata alla Terra, a Fauna, alla Bona Dea e alla Magna Mater.

Nel periodo che coincide con la festa di Beltaine, nell’Antica Roma, in epoca imperiale, si celebrava una festa orgiastica della durata di 5-7 giorni su un’isoletta del Tevere chiamata Maiuma. Questa festa di maggio era celebrata anche nella Palestina Romana come festa orgiastica di fertilità connessa all’acqua.
Sempre nell’antica Roma, alle calende di Maggio, veniva celebrata la festa di Floralia, conosciuta anche col nome di Florifertum, una festa di fertilità dedicata alla Dea Flora. La festa di Floralia iniziava il 28 aprile e terminava il 2 maggio (Ovidio, Fasti), celebrava il rinnovarsi del ciclo della vita, rappresentato con danze, fiori e consumo di bevande alcoliche, le persone vestivano con vesti colorate, i templi erano decorati con fiori di vario tipo e venivano fatte offerte di latte e miele a Flora, la Dea della Primavera che fa germogliare e crescere le piante, e fa sbocciare i fiori. I riti in onore di Flora erano officiati da un sacerdote che rappresentava lo sposo di Flora, il Flamen Floralis.

Nell’Antica Roma il Pontefice Massimo (che in origine non era associato al Papa dei cristiani) dava l’annuncio delle festività di maggio, le feste di calendimaggio, da “calendae” (o kalendae) che indicava il primo giorno del mese.  Le feste del Calendimaggio consistevano in lunghe processioni nei campi e in riti propiziatori alle divinità agresti. In seguito i cristiani trasformeranno le feste di fertilità del Calendimaggio in processioni dedicate alla loro divinità privandole della parte dell’unione sessuale.
La notte del 30 aprile in molti paesi europei si accendevano i fuochi di maggio che segnavano il culmine delle feste di fertilità e di unione sessuale. I cristiani hanno stravolto anche il significato dei sacri fuochi di fertilità di maggio e la notte del 30 aprile  è diventata la loro notte di Santa Valpurga e i falò sono diventati dei fuochi accesi per cacciare le streghe!

Nel 17° secolo Calendimaggio venne sostituito con il cosiddetto Maggio Sacro della chiesa cattolica, e nel 1889 venne istituita la Festa dei Lavoratori, una festa laica del lavoro fatta coincidere proprio con il giorno del 1° maggio.

Tra il 30 aprile ed il 1° maggio ad assisi e dintorni, gruppi di quattro o cinque uomini detti “maggiaioli” andavano a piedi per le campagne passando di casa in casa, cantando e suonando. Partivanoi subito dopo il tramonto del sole il 30 di aprile e andavano di casa in casa cantando gli stornelli di maggio, tutti dedicati al ritorno della Primavera e della fertilità della terra, e finivano all’alba del 1° maggio. I “maggiaioli” chiedevano un’offerta di uova, pane e vino a tutti coloro che venivano svegliati dai canti di maggio.

A Firenze la festa di Calendimaggio, o del Maggio Sacro, cominciava il 30 aprile e durava per tutto il mese di maggio o quasi. Al suono di liuti e mandole dei gruppi di ragazzi e ragazze con corone di fiori giravano per le vie della città cantando i “Maggi”, stornelli che parlavano di prosperità e di fertilità. Questi gruppi di giovani andavano di casa in casa danzando e cantando e ricevevano dei doni. Erano guidati dalla “Regina di Maggio” ed erano preceduti da un giovane, il “Re di Maggio” che portava il “majo”, un ramo fiorito con nastri intrecciati.
Si racconta che Dante, all’età di 9 anni, durante il Calendimaggio del 1274 incontrò per la prima volta la sua Beatrice, che aveva 8 anni.

Felice Equinozio di Primavera 2019, Festa di Luce e Calore

Felice Equinozio di Primavera! Felice festa di Luce e Calore! Felice Ostara! Passate tutte e tutti una buona festa di Equinozio di Primavera, comunque voi la chiamiate e di qualunque tradizione…

La parola “equinozio” deriva dal latino “equi -noctis” e significa “notte uguale” al giorno. La definizione puramente teorica di lunghezza del giorno si riferisce all’intervallo di tempo compreso fra due intersezioni temporalmente consecutive del centro apparente del disco solare con l’orizzonte del luogo geografico. Usando questa definizione, la lunghezza del dì risulterebbe di 12 ore. In realtà, gli effetti di rifrazione atmosferica, il semidiametro e la parallasse solare fanno sì che negli equinozi la lunghezza del dì ecceda quella della notte. Gli Equinozi di Primavera e d’Autunno sono i due giorni dell’anno nei quali hanno inizio le stagioni di primavera e autunno. Agli equinozi, intesi come giorni di calendario, il Sole sorge quasi esattamente ad est e tramonta quasi esattamente ad ovest; ma non esattamente, in quanto l’equinozio è un preciso istante che quindi può, al massimo, coincidere con uno solo dei due eventi, ma non prodursi due volte nell’arco di 12 ore.
Nell’emisfero settentrionale, l’Equinozio di Primavera cade il 20 o 21 marzo,  e l’equinozio d’autunno cade il 22 o il 23 settembre; nell’emisfero meridionale, questi termini sono invertiti.

Gli equinozi possono essere considerati anche come punti ideali nel cielo. Anche se la luce diurna nasconde le altre stelle, rendendo difficile vedere la posizione del Sole rispetto agli altri corpi celesti, il Sole ha una posizione definita relativa alle altre stelle.

Mentre la Terra gira attorno al Sole, l’apparente posizione del Sole si sposta di un intero cerchio nel periodo di un anno. Questo cerchio è chiamato eclittica, ed è anche il piano dell’orbita della Terra proiettato sulla sfera celeste. Gli altri pianeti visibili ad occhio nudo (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno) sembrano muoversi lungo l’eclittica poiché le loro orbite sono su un piano simile a quello della Terra.

L’altro cerchio nel cielo è l’equatore celeste, ovvero la proiezione dell’equatore terrestre sulla sfera celeste. Poiché l’asse di rotazione della Terra è inclinato rispetto al piano dell’orbita, l’equatore celeste è inclinato rispetto all’eclittica. Due volte l’anno, il Sole incrocia il piano dell’equatore terrestre. Questi due punti sono gli equinozi.

Il punto dell’Equinozio di Primavera dell’emisfero settentrionale è anche chiamato punto vernale (parola derivante da latino, da “ver” che significa “primavera”), punto dell’Ariete o punto gamma (γ), mentre quello dell’equinozio d’autunno è anche chiamato punto della Bilancia (ω). Tuttavia, a causa della precessione degli equinozi, questi punti non si trovano più nella costellazione da cui prendono il nome, anche se va detto che l’astrologia è un sistema basato sulle stagioni (le costellazioni fisse,i 12 segni zodiacali, sono infatti i 12 mesi dell’anno) e sul loro “dialogo” con i pianeti e con le stelle, con il cielo. La Precessione degli Equinozi pertanto non va ad influire sull’interpretazione di un tema natale basato sull’astrologia per come la conosciamo in occidente.

L’istante nel quale il Sole passa attraverso ogni punto di equinozio può essere calcolato accuratamente, così l’equinozio è sempre e solo un particolare istante, e non un giorno intero.

Nell’Equinozio di Primavera:
all’equatore il Sole sorge in linea verticale dall’orizzonte est fino allo zenit, e poi tramonta in linea verticale dallo zenit all’orizzonte ovest;
al Tropico del Cancro il Sole passa a sud, dove giunge alla sua massima altezza per quel giorno che è 66°33′;
al Tropico del Capricorno il Sole passa a nord, dove giunge alla sua massima altezza per quel giorno che è 66°33′;
al polo nord il Sole passa da una notte lunga 6 mesi ad un dì lungo 6 mesi;
al polo sud il Sole passa da un dì lungo 6 mesi ad una notte lunga 6 mesi.

Nell’originale calendario giuliano stabilito da Giulio Cesare, l’Equinozio di Primavera cadeva il 25 marzo. La ragione dell’odierno spostamento al 21 marzo si lega alle motivazioni stesse della messa in essere del calendario gregoriano. Ciò che spinse infatti Gregorio XIII a promulgare la sua riforma non fu infatti un omaggio al dittatore romano, ma il desiderio di riallinearsi alle votazioni del Concilio di Nicea, svoltosi quasi quattro secoli dopo la vita del famoso politico. Il papa deliberò quindi di recuperare l’errore accumulatosi dopo il concilio, ma non ebbe interesse alcuno a fare lo stesso per le date del 29 febbraio degli anni 100, 200 e 300. Dato che un quarto giorno si era già generato a causa del caos nell’applicazione del giorno bisestile intervenuta fra l’omicidio di Cesare e il definitivo decreto di riordino di Augusto dell’anno 8, fu così che l’equinozio fu stabilmente spostato rispetto alla sua data originaria.

Ecco una serie di feste celebrate in occasione dell’Equinozio di Primavera.
Sham El Nessim, celebrata all’Equinozio di Primavera, era un’antica festività egiziana le cui tracce risalgono a circa 4700 anni fa, ed è ancora oggi una delle feste pubbliche Egiziane ed è celebrata il lunedì più prossimo all’Equinozio di Primavera.
La Pasqua ebraica è una festa che coincide con l’Equinozio di Primavera e cade di solito il primo giorno di luna piena seguente all’Equinozio di Primavera, anche se occasionalmente, di solito 7 volte in 19 anni, cade il secondo giorno di luna piena dopo l’Equinozio di Primavera.
La Pasqua cristiana che cade la prima domenica dopo la prima luna piena contemporanea o successiva all’Equinozio di Primavera.
La festa neopagana dell’Equinozio di Primavera, celebrata da molti gruppi neopagani europei e Wicca, che viene chiamata anche Ostara, Alban Eiler (o Alban Eilir) e Dísablót.

L’Equinozio di Primavera segna il primo giorno dell’anno per una varietà di calendari, inclusi il calendario Iraniano, il calendario Bahá’í. Il festival Persiano (Iraniano) del Naw-Ruz viene celebrato all’Equinozio di Primavera. Nell’antica mitologia persiana, Jamshid, il re mitico della Persia, ascese al trono in questo giorno e ogni anno quest’evento viene commemorato con feste per due settimane. Queste feste rievocano la storia della creazione e l’antica cosmologia del popolo Iraniano e Persiano. È un giorno di festa anche per l’Azarbaijan, l’Afganistan, l’India, la Turchia, Zanzibar, l’Albania e diversi paesi dell’Asia Centrale, è festa anche per i Kurdi. È inoltre una festività Zoroastrina, è anche un giorno sacro per i seguaci della Fede Bahá’í e per i musulmani Ismaili Nizari comunemente chiamati come gli Aga Khanis.

In molti paesi arabi la festa della mamma è celebrata all’Equinozio di Primavera.
In Giappone il giorno dell’Equinozio di Primavera (春分の日 Shunbun no hi) è una festa nazionale ufficiale che si trascorre visitando le tombe di famiglia e celebrando le riunioni di famiglia.
Il primo giorno dell’anno per i Tamil e i Bengali segue lo zodiaco Hindu e sono celebrati rispetto al Equinozio di Primavera siderale (14 aprile). Quello Tamil viene festeggiato nello stato dell’India del Sud del Tamil Nadu, l’altro viene festeggiato in Bangladesh e nello stato dell’India dell’est del Bengala Ovest.

Il giorno del Pianeta Terra venne celebrato inizialmente il 21 marzo 1970, giorno dell’equinozio. Attualmente è celebrato in diversi Stati il 22 aprile.
In molti paesi arabi il Giorno della Madre viene celebrato nell’equinozio di marzo.
In Tamil e nel Bengala all’Equinozio di Primavera, che segue lo zodiaco siderale, il 14 aprile, si celebra l’Anno Nuovo. Anche nello stato indiano di Orissa l’anno nuovo, ‘Vishuva Sankranti’, che significa “uguale” in sanscrito, si celebra all’Equinozio di Primavera secondo lo zodiaco siderale.
Nell’Andhra Pradesh, Karnataka e Maharastra l’Anno Nuovo si celebra la prima mattina dopo la prima luna nuova dopo l’Equinozio di Primavera.

Le feste collegate all’Equinozio di Primavera celebrano tutte il risveglio della Natura, il ritorno della luce, del calore e dell’umidità, nel giorno in cui la notte e il giorno sono in equilibrio, ma la luce prevale sull’oscurità e il caldo e l’umidità tornano a scaldare la Terra. In questo periodo si celebra la Conoscenza del Mistero della Danza della Vita, la resurrezione, il risveglio, dei sensi e della scintilla che da la vita. Le piante fioriscono, gli alberi si riempiono di germogli, le prime foglie e i primi fiori sbocciano di nuovo al mondo, gli animali si svegliano definitivamente dal letargo e si risvegliano i loro sensi, si piantano i semi che daranno i frutti del primo raccolto.

Alcuni Neopagani europei e molti gruppi Wicca chiamano l’Equinozio di PrimaveraOstara”. Ostara deriva dal nome di una Dea Germanica associata con la Primavera, Eostre per i Sassoni, secondo quanto riportato da Beda il Venerabile.
Nell’Antica Roma al tempo dell’Equinozio di Primavera si celebrava la festa della Dea Cibele e di Attis il suo sposo nato da una vergine. Attis muore qualche giorno prima e risorge all’Equinozio di Primavera. La festa di Cibele è molto antica ed è stata introdotta e celebrata a Roma nel 204 prima della nascita di Cristo.

A Roma si narrava una storia più antica di quella di Cristo ma molto simile alla sua, la storia del Dio Mitra nato al Solstizio d’Inverno e risorto all’Equinozio di Primavera. Anche Mitra, come Gesù, era noto per aiutare i suoi fedeli ad ascendere al regno di luce dopo la morte.
I popoli Germani celebravano la festa di Ostara o di Eostre la luna piena seguente l’Equinozio di Primavera. La leggenda racconta che Eostre trovò a terra in tardo inverno, un uccello ferito. Per salvargli la vita lo trasformò in una lepre, ma la trasformazione non riuscì alla perfezione perché l’uccello aveva le sembianze di una lepre ma continuava a deporre le uova che la lepre decorava e lasciava in dono per la dea Eostre. Da questa leggenda nasce la storia del coniglio pasquale e delle uova decorate.

L’origine dell’Uovo di Pasqua è collegata al Mito Pelasgico della Creazione, dove la Dea di Tutte le Cose Eurinome danzando sulle onde del mare crea e si accoppia con il Grande Serpente Ofione e depone l’Uovo Universale dal qual nascono tutte le cose.

Margaret Alice Murray, The Witch-Cult in Western Europe: A Study in Anthropology (1921)

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James George Frazer, The Golden Bough (1906-1915)

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Flavia Wolfrider, Antico Sentiero Europeo Scuola di Draco (1980)

Merlin Stone, When God Was a Woman (1976)

Festa di San Valentino, Festa degli Innamorati

La Festa di San Valentino, conosciuta anche come Giornata di San Valentino o Giorno di San Valentino, cade il 14 febbraio di ogni anno ed è celebrata in molti paesi del mondo, anche se rimane un giorno lavorativo nella maggior parte dei paesi dove viene celebrata.
Le origini della Festa di San Valentino si trovano nella celebrazione di Valentino, uno dei primi santi della chiesa cristiana.
La Festa di San Valentino è stata per la prima volta storicamente associata all’amore romantico nel circolo di Geoffrey Chaucer, nell’Alto Medioevo, nel periodo in cui fioriva la tradizione dell’amor cortese. Nel 15° secolo, la Festa di San Valentino divenne un’occasione in cui gli innamorati si scambiavano promesse e doni d’amore, offrendo fiori, dolci, e spedendosi biglietti d’amore, che vennero poi chiamati “valentini” (valentines). I simboli usati per la Festa di San Valentino oggi sono disegni a forma di cuore, colombe e la figura di Cupido Alato; e dal 19° secolo i valentini scritti a mano hanno lasciato il posto alle cartoline, prima stampate e poi anche elettroniche.

Si racconta che Valentino fu imprigionato per aver celebrato per aver celebrato dei matrimoni di soldati, ai quali era vietato sposarsi, e per aver officiato riti cristiani. Si racconta anche che, durante il periodo di detenzione, Valentino abbia curato una malattia agli occhi  della figlia del suo carceriere, Asterius e che, prima di essere giustiziato, Valentino, innamoratosi della ragazza, abbia scritto alla figlia di Asterius un biglietto d’addio che si concludeva con le parole “dal tuo Valentino”.

Una leggenda, di origine statunitense, narra come un giorno il vescovo Valentino, passeggiando, vide due giovani che stavano litigando ed andò loro incontro porgendo una rosa e invitandoli a tenerla unita nelle loro mani: i giovani si allontanarono riconciliati. Un’altra versione di questa storia narra che il santo sia riuscito ad ispirare amore ai due giovani facendo volare intorno a loro numerose coppie di piccioni che si scambiavano dolci gesti d’affetto; da questo episodio si crede possa derivare anche la diffusione dell’espressione piccioncini.
Secondo un altro racconto, Valentino, già vescovo di Terni, unì in matrimonio la giovane cristiana Serapia e il centurione romano Sabino: l’unione era ostacolata dai genitori di lei ma, vinta la resistenza di questi, si scoprì che la giovane era gravemente malata. Il centurione chiamò Valentino al capezzale della giovane morente e gli chiese di non essere mai più separato dall’amata: il santo vescovo lo battezzò e quindi lo unì in matrimonio a Serapia, dopo di che morirono entrambi.

Esistono molti santi martiri della chiesa cristiana chiamati Valentino, ma il 14 febbraio ne sono celebrati solo due: Valentino di Roma (Valentinus presb. m. Romae) e Valentino di Terni (Valentinus ep. Interamnensis m. Romae). Valentino di Roma fu un prete cristiano vissuto a Roma, martirizzato nell’anno 269 Era Corrente e sepolto lungo la via Flaminia. Il teschi coronato di fiori di Valentino di Roma è esposto nella basilica di Santa Maria in Cosmedin a Roma; altre reliquie sono conservate nella Basilica di Santa Prassede a Roma e nella Whitefriar Street Carmelite Church a Dublino, in Irlanda. Valentino di Terni fu vescovo di Interamna (oggi Terni) nel 197 Era Corrente circa e si dice sia stato martirizzato durante le persecuzioni dell’Imperatore Aureliano. Anche Valentino di Terni è sepolto a via Flaminia, ma in un luogo diverso da quello dove è sepolto Valentino di Roma; le sue reliquie sono riposano nella Basilica di San Valentino di Terni.
L’Enciclopedia Cattolica cita anche un terzo San Valentino che era menzionato nei primi martirologi
alla data del 14 febbraio, che fu martirizzato in Africa assieme ad altri suoi compagni, ma di lui non si sa altro che questo.

Il 14 febbraio si celebra la Festa di San Valentino secondo molte confessioni cristiane, ma nel 1969, con la revisione del Calendario dei Santi della Chiesa Cattolica Romana, la festa viene rimossa e relegata a festa particolare: locale o nazionale per le seguenti ragioni: “Benché la commemorazione di San Valentino sia molto antica, viene lasciata nei calendari come festa particolare, perché, a parte il nome, non si sa nulla di San Valentino tranne che è stato seppellito sulla via Flaminia il 14 febbraio”. La festa di San Valentino al 14 febbraio è celebrata a Balzan, Malta, dove si dice siano state trovate reliquie del santo e, nel resto del mondo, da tutti i cattolici tradizionalisti che seguono il vecchio calendario dei santi, quello precedente al Concilio Vaticano Secondo.
La chiesa ortodossa celebra San Valentino il 6 luglio, quando viene ricordato il presbitero romano, e il 30 luglio, quando celebra lo ieromartire Valentino, vescovo di Interamna.

Nel 5° e 6° secolo, nel Passio Marii et Marthae, viene pubblicata una storia inventata sul martirio di San Valentino di Roma, molto probabilmente usando le storie del martirio di altri santi, come si faceva di solito nella letteratura dell’epoca; la storia inventata racconta che San Valentino venne perseguitato come cristiano ed interrogato dall’imperatore Claudio II in persona, che fu colpito da Valentino e si mise a discutere con lui e provò a convertirlo al paganesimo per salvargli la vita. Valentino, dal canto suo, tentò di convertire l’imperatore al cristianesimo e per questo fu ucciso. Si racconta anche che, prima di essere ucciso, Valentino abbia guarito la figlia del suo carceriere Asterius che si convertì al cristianesimo e venne battezzata assieme a quarantaquattro membri della sua familia, tra familiari effettivi e servitù. Si dice anche che Valentino abbia celebrato dei matrimoni di soldati, ai quali era vietato sposarsi, perché si riteneva che un uomo sposato non fosse un buon soldato. Un’altra storia racconta che Papa Giulio I costruì una chiesa sul sepolcro di San Valentino, ma fu un tribuno di nome Valentino a donare il denaro per costruire la chiesa al tempo in cui Giulio I era papa. La leggenda racconta anche che la sera prima di essere ucciso Valentino ha scritto il primo biglietto “valentino” indirizzato alla figlia del suo carceriere Asterius, firmandolo “Tuo Valentino” (Your Valentine), ed è da qui che si dice abbia origine l’espressione “Dal Tuo Valentino” (From Your Valentine), usata oggi. Questa leggenda è stata pubblicata dall’American Greetings e da The History Channel. Sia John Foxe che l’Ordine della Beata Vergine del Monte Carmelo, riportano che i resti di San Valentino sono conservati nella Basilica di Santa Prassede a Roma, che si trova vicino al cimitero di Sant’Ippolito. L’Ordine della Beata Vergine del Monte Carmelo dice che, secondo la leggenda, “La stessa Giulia piantò un mandorlo rosa fiorito accanto alla sua tomba. Ed oggi il mandorlo rimane il simbolo di amore e amicizia che durano nel tempo.”

Fonti moderne divenute oggigiorno molto popolari affermano che la Festa di San Valentino trova le sue origini in alcune feste greco-romane non ben specificate che si tenevano a metà del mese di febbraio ed erano dedicate ai riti di fertilità, come Lupercalia, ma non ci sono prove del fatto che la Festa di San Valentino derivi dalla festa dell’Antica Roma di Lupercalia, dato che la festa di San Valentino non assume, storicamente, alcuna connotazione romantica fino al 14° sec quando viene associata all’amore romantico nel circolo di Geoffrey Chaucer, nel periodo in cui fioriva la tradizione dell’amor cortese. In ogni caso, secondo l’antico calendario ateniese, il periodo che va da metà gennaio a metà febbraio era chiamato il mese di Gamelion ed era dedicato alle nozze sacre di Hera e Zeus.

Nell’Antica Roma Lupercalia, che si teneva dal 13 al 15 febbraio, era un rito arcaico di fertilità che si teneva solo a Roma, la festa celebrata in modo più ampio, anche al di fuori della città di Roma era la Festa di Juno Februata, che significa “Giunone la Purificatrice”, o “Giunone la Casta”, celebrata il 13 e il 14 febbraio. Papa Gelasio I (492–496) abolì la festa di Lupercalia.

Alban Butler nel suo “Lifes of the Principal Saints” (1756–1759) afferma, senza prova alcuna, che a Lupercalia uomini e donne estraevano dei foglietti con i loro nomi scritti sopra per fare delle coppie e che le moderne lettere di San valentino derivano proprio da quell’usanza. Nella realtà questa pratica ha origine nel Medio Evo e non ha nessun riferimento o origine ai riti di Lupercalia, secondo questa usanza gli uomini estraevano i nomi delle donne per accoppiarsi a caso con loro. Quest’usanza fu osteggiata dai preti, per esempio da Francesco di sales nel 1600 che la sostituirono con l’usanza di giovani donne che estraevano i nomi degli apostoli sull’altare, ma questa usanza religiosa risale al 13° sec è menzionata nella vita di Santa Elisabetta d’Ungheria e quindi potrebbe avere un’origine differente.

Come abbiamo detto la prima testimonianza sull’associazione tra San Valentino e l’amore romantico risale al 1382 quando Geoffrey Chaucer scrissa Parlement of Foules:
“For this was on seynt Volantynys day
Whan euery bryd comyth there to chese his make.”
[“For this was on Saint Valentine’s Day (Perché accadeva il giorno di San Valentino)
When every bird cometh there to choose his mate (Quando ogni uccello viene a scegliere il compagno)”].
La poesia fu scritta in onore del primo anniversario di fidanzamento di Re Riccardo II d’Inghilterra con Anna di Boemia, il patto di matrimonio fu firmato il 2 maggio 1381, si sposarono otto mesi dopo all’età di appena 15 anni ognuno.
Molti hanno dedotto che Chaucer si riferisse alla Festa di San Valentino celebrata il 14 febbraio ed è molto probabile perché a metà febbraio in Inghilterra gli uccelli non vanno ncora in amore, i primi segnali di corteggiamento iniziano per alcuni di loro il 23 febbraio circa. Secondo Henry Ansgar Kelly Chaucer si riferiva alla festa di Valentino di Genova, uno dei primi vescovi di Genova morto nel 307 circa Era Corrente, celebrata il 3 maggio. Jack B. Oruch fa notare che l’inizio della Primavera è cambiato dai tempi di Chaucer a causa della precessione degli equinozi  e l’introduzione del calendario Gregoriano nel 1582.

Altri tre autori hanno scritto delle poesie sugli uccelli in amore il giorno di San Valentino all’incirca nello stesso periodo di Chaucer, ma probabilmente prima: Ottone di Grandson (c. 1238 – 1328) dalla Savoia, John Gower dall’Inghilterra, e un cavaliere conosciuto come Pardo da Valenzia. E’ molto probabile che Chaucer si sia ispirato alle loro opere, ma data la difficoltà di datare le opere medievali non possiamo esserne sicuri.

Felice Imbolc 2019! Felice Festa di Luce!

Felice Imbolc! Felice Festa di Luce!

La Festa di Luce è la prima delle tre Feste di Primavera, è la Festa della Prima Luce del Risveglio della Vita Attiva, si celebra tra la fine di gennaio e il mese di febbraio.

Questo è il Tempo

di aprire il Cuore

e di ricevere la Luce

di Conoscenza ed Ispirazione

La Festa di Luce segna il risveglio della Terra alla luce, all’esterno, le prime luci della Primavera a venire, le prime mosse della Primavera nel grembo della Terra.

Molte religioni e vie spirituali in questo periodo dell’anno, nel nostro emisfero, celebrano delle feste alle quali hanno dato nomi diversi: Festa delle Luci, Giunone Februata, Lupercalia, Imbolc, Candelora…

La Dea della Festa di Luce, di Imbolc, è la Dea dei Poeti, dei guaritori, degli artigiani. E’ una Dea di fuoco, di purificazione, di guarigione, di rinnovamento, di ringiovanimento. E’ Brigit ed è Giunone Februata ed è anche Maria dei cristiani… Le sacerdotesse della Dea della Festa di Luce custodiscono il Fuoco Sacro, simbolo della luce purificata dell’ispirazione, sono le Vestali nell’antica Roma e le sacerdotesse di Brigit in Irlanda…

Questo è il tempo di bere alla Fonte della Giovinezza.

Per gli iniziati è la fase di superamento della nigredo.

Nell’Antica Roma la festa di Giunone Februata si concludeva con una fiaccolata in processione.

Lupercalia era celebrata 15 giorni prima delle calende di marzo. Nel 494 era corrente, Lupercalia fu proclamata dal Papa del tempo Festa della Purificazione della Vergine Maria.

Candelora è una festa cristiana che celebra la luce di Cristo che fa uscire il mondo dalle tenebre. L’antica festa di Candelora comprendeva una processione per le strade del paese a ceri spenti fino alla chiesa dove le candele venivano accese da un cero posto all’ingresso e si tenevano accese durante la messa e fino al rientro a casa.

In Irlanda si fanno le croci di Brigit con paglia e fieno. Brigit è conosciuta in epoca cristiana come “Maria dei Gaeli”.

Imbolc, o Imbolg, festa della Dea Brigid, in epoca cristiana Santa Brigida (in gaelico scozzese Là Fhèill Brìghde, in gaelico irlandese Lá Fhéile Bríde) è una festa celtica, celebrata fino all’epoca cristiana in Irlanda, che segna il ritorno dei primi tepori primaverili. Si celebra l’1 o il 2 febbraio o anche l’11 o il 12 febbraio secondo l’antico calendario. E’ una festa che cade all’incirca a metà tra il Solstizio d’Inverno e l’Equinozio di Primavera.

Ad Imbolc si fanno tradizionalmente dei pronostici metereologici ed esisteva un’antica tradizione di osservare se i serpenti o i tassi uscivano dalle loro tane invernali. Negli Stati Uniti d’America esiste una festa chiamata Groundhog Day (Giorno della Marmotta), celebrata il 2 febbraio, in cui si osserva il comportamento della marmotta: se l’animale, in una giornata nuvolosa, esce dalla sua tana invernale e la lascia senza rientrarci si dice che l’nverno finirà molto presto; se invece la marmotta esce dalla tana in una giornata di sole e vede la sua ombra, si spaventa e rientra subito nella tana invernale, allora l’inverno durerà ancora per sei settimane. Molto probabilemente la festa del Groundhog Day (Giorno della Marmotta) deriva proprio dall’antica usanza della festa di Imbolc di osservare il comportamento di serpenti e tassi per predire il tempo che farà.

E’ a Imbolc che la Cailleach, la vecchia della tradizione Gaelica, raccoglie la legna per accendere il fuoco per il resto dell’inverno. Si dice che se la Cailleach vuole far durare ancora a lungo l’inverno, farà in modo che il giorno di Imbolc sia una bella giornata di sole, e così potrà raccogliere tutta la legna che le serve. E’ meglio perciò che ad Imbolc ci sia brutto tempo, perché significa che l’inverno finirà presto.

Anche in Italia durante la giornata in cui si festeggia la Candelora, che corrisponde alle feste dell’inizio di febbraio, ci sono proverbi legati alle previsioni del tempo, e ogni regione ha il suo.

A Venezia si dice:

Quando vien la Candelora

da l’inverno sémo fóra,

ma se piove o tira vénto,

ne l’inverno semo drénto.

In lombardia si dice:

Madona de la sceriôla

de l’inverno sém fôra.

Se’l piôf o tira vent,

n’del’inverno sem dént.

Traduzione

Madonna della Candelora

dall’inverno siamo fuori

Se piove o tira vento

nell’inverno siamo dentro

A Trieste si dice:

Se a Candelora xe sol e bora

de l’inverno semo fora,

se piovi o tira vento

de l’inverno semo dentro.

In Toscana si dice:

Se nevica o gragnola

dell’inverno siamo fora.

Se c’è sole o solicello

siamo ancora a mezzo inverno.

Se c’è sole o sole tutto

dell’inverno resta il brutto.

In Calabria si dice:

Da Candalora, cu on avi carni

s’impigna a figghjiola.

In Sicilia si dice:

Pa Cannilora a jaddina fà l’ova

Pa cannilora du ‘nvirn sim fora

Pa Cannilora u brascirr fora.

In Molise si dice:

A Cannelora, a vernate jè sciute fore!

Responne Sante Biase: “A vernate ‘ncore trasce”;

Responne a vecchierelle: “Quanne scekoppe a Vecachelle”;

Responne u viecchie Semmejone: “Se vuo’sta cchiu’ secure, quanne calene i meteture”.

Traduzione:

Alla Candelora l’inverno è uscito fuori (passato)!

Risponde San Biagio (3 febbraio): “L’inverno non è ancora arrivato”;

Risponde la vecchietta: “Quando sono sbocciate le gemme”;

Risponde il vecchio Simeone: “Per essere più sicuri, quando arrivano i mietitori.

A Napoli si dice:

A Cannelora

Vierno è fora!

Risponne San Biase:

Vierno mo’ trase!

dice a vecchia dint’ a tana:

nce vo’ ‘nata quarantana!

cant’ o monaco dint’ o refettorio:

tann’ è estate quann’ è Sant’Antonio!

Nel Tarantino si dice:

A Cannlor u’nvirn è for,

ma c’proprij n vuè cuntà,

notr e tant c’ n’ stà!

Nella Lunigiana si dice:

Se la piova per la Candelora

de l’inverno semo fora,

ma se la piova e tira vento

de l’inverno semo dentro.

Fonti moderne divenute oggigiorno molto popolari affermano che la Festa di San Valentino trova le sue origini in alcune feste greco-romane non ben specificate che si tenevano a metà del mese di febbraio ed erano dedicate ai riti di fertilità, come Lupercalia, ma non ci sono prove del fatto che la Festa di San Valentino derivi dalla festa dell’Antica Roma di Lupercalia, dato che la festa di San Valentino non assume, storicamente, alcuna connotazione romantica fino al 14° sec quando viene associata all’amore romantico nel circolo di Geoffrey Chaucer, nel periodo in cui fioriva la tradizione dell’amor cortese. In ogni caso, secondo l’antico calendario ateniese, il periodo che va da metà gennaio a metà febbraio era chiamato il mese di Gamelion ed era dedicato alle nozze sacre di Hera e Zeus.

Nell’Antica Roma Lupercalia, che si teneva dal 13 al 15 febbraio, era un rito arcaico di fertilità che si teneva solo a Roma, la festa celebrata in modo più ampio, anche al di fuori della città di Roma era la Festa di Juno Februata, che significa “Giunone la Purificatrice”, o “Giunone la Casta”, celebrata il 13 e il 14 febbraio. Papa Gelasio I (492–496) abolì la festa di Lupercalia.
Alban Butler nel suo “Lifes of the Principal Saints” (1756–1759) afferma, senza prova alcuna, che a Lupercalia uomini e donne estraevano dei foglietti con i loro nomi scritti sopra per fare delle coppie e che le moderne lettere di San valentino derivano proprio da quell’usanza. Nella realtà questa pratica ha origine nel Medio Evo e non ha nessun riferimento o origine ai riti di Lupercalia, secondo questa usanza gli uomini estraevano i nomi delle donne per accoppiarsi a caso con loro. Quest’usanza fu osteggiata dai preti, per esempio da Francesco di sales nel 1600 che la sostituirono con l’usanza di giovani donne che estraevano i nomi degli apostoli sull’altare, ma questa usanza religiosa risale al 13° sec è menzionata nella vita di Santa Elisabetta d’Ungheria e quindi potrebbe avere un’origine differente.

Come abbiamo detto la prima testimonianza sull’associazione tra San Valentino e l’amore romantico risale al 1382 quando Geoffrey Chaucer scrissa Parlement of Foules:
“For this was on seynt Volantynys day
Whan euery bryd comyth there to chese his make.”
[“For this was on Saint Valentine’s Day (Perché accadeva il giorno di San Valentino)
When every bird cometh there to choose his mate (Quando ogni uccello viene a scegliere il compagno)”].
La poesia fu scritta in onore del primo anniversario di fidanzamento di Re Riccardo II d’Inghilterra con Anna di Boemia, il patto di matrimonio fu firmato il 2 maggio 1381, si sposarono otto mesi dopo all’età di appena 15 anni ognuno.
Molti hanno dedotto che Chaucer si riferisse alla Festa di San Valentino celebrata il 14 febbraio ed è molto probabile perché a metà febbraio in Inghilterra gli uccelli non vanno ncora in amore, i primi segnali di corteggiamento iniziano per alcuni di loro il 23 febbraio circa. Secondo Henry Ansgar Kelly Chaucer si riferiva alla festa di Valentino di Genova, uno dei primi vescovi di Genova morto nel 307 circa Era Corrente, celebrata il 3 maggio. Jack B. Oruch fa notare che l’inizio della Primavera è cambiato dai tempi di Chaucer a causa della precessione degli equinozi  e l’introduzione del calendario Gregoriano nel 1582.

Altri tre autori hanno scritto delle poesie sugli uccelli in amore il giorno di San Valentino all’incirca nello stesso periodo di Chaucer, ma probabilmente prima: Ottone di Grandson (c. 1238 – 1328) dalla Savoia, John Gower dall’Inghilterra, e un cavaliere conosciuto come Pardo da Valenzia. E’ molto probabile che Chaucer si sia ispirato alle loro opere, ma data la difficoltà di datare le opere medievali non possiamo esserne sicuri.

Candelora

La parola Candelora deriva dal latino festum candelarum e va messa in relazione con l’usanza di benedire le candele, prima di accenderle e portarle in processione.

I ceri vengono conservati nelle abitazioni dei fedeli per essere riutilizzati a scopi spirituali, di preghiera per la guarigione di congiunti, per assicurarsi la buona sorte, ecc.

Anticamente questa festa veniva celebrata il 14 febbraio (40 giorni dopo l’Epifania), e la prima testimonianza al riguardo ci è data da Egeria nella sua Peregrinatio (cap. 26). La denominazione di “Candelora”, data popolarmente alla festa, deriva dalla somiglianza del rito del lucernario, di cui parla Egeria («Si accendono tutte le lampade e i ceri, facendo così una luce grandissima» Peregrinatio Aetheriae 24, 4), con le antiche fiaccolate rituali che già si facevano nei Lupercali, antichissima festività romana che si celebrava proprio a metà febbraio. La somiglianza tra questa festività pagana e quella cristiana non è solo nell’uso delle candele, ma soprattutto nell’idea della purificazione: nell’una relativa all’usanza ebraica (Lv 12,2-4) nell’altra riguardo alla februatio:

«Gli antenati romani dissero Februe le espiazioni: e ancora molti indizi confermano tal senso della parola. I pontefici chiedono al re e al flamine le lane che nella lingua degli antichi erano dette februe. Gli ingredienti purificatori, il farro tostato e i granelli di sale, che il littore prende nelle case prestabilite, si dicono anch’essi februe. […] Da ciò il nome del mese, perché i Luperci con strisce di cuoio percorrono tutta la città, e ciò considerano rito di purificazione.»

(Ovidio, I Fasti 2, 19-24, 31-32ss.)

Durante il suo episcopato, papa Gelasio I (492-496) ottenne dal Senato l’abolizione dei pagani Lupercali, che furono sostituiti dalla festa cristiana della Candelora. Nel VI secolo la ricorrenza fu anticipata da Giustiniano al 2 febbraio, data in cui si festeggia ancora oggi.

In Oriente si dà molto risalto all’incontro tra Gesù e il vecchio Simeone, e la festa ha infatti il nome di Hypapante (cioè “incontro”). In Occidente, invece, con il tempo la festa ha assunto carattere mariano, facendo prevalere l’aspetto della purificazione della madre su quello del riscatto del primogenito: per questo, prima della riforma liturgica avviata dal Concilio Vaticano II (e quindi ancora oggi per la forma straordinaria del rito romano), la festa era chiamata “Purificazione di Maria”. La riforma liturgica ha voluto, invece, dare centralità a Cristo come primogenito del Padre e del nuovo Israele, rendendo così questa festa non più mariana, ma cristologica.

Il giorno successivo, il 3 febbraio, si celebra la memoria di san Biagio di Sebaste, nella quale è tradizione, in alcuni luoghi, compiere una benedizione della gola con le candele benedette il giorno precedente, poiché, tra i miracoli che sono stati attribuiti a questo santo, figura anche il salvataggio di un bambino che stava soffocando dopo aver ingerito una lisca di pesce; per questo motivo, nell’iconografia san Biagio viene spesso rappresentato con candele.

In molte culture esistono tradizioni che attribuiscono al 2 febbraio, giorno della Candelora e della “Purificazione, detto anche “giornata delle Cere”, una capacità di prevedere la fine dell’inverno, come nel caso del Giorno della marmotta negli Stati Uniti e nel Canada. Il 2 febbraio è oggetto di numerosi proverbi dialettali meteorologici, anche in contrasto fra loro, molto probabilmente a causa delle diverse posizioni geografiche delle popolazioni chehanno coniato il proverbio.

La Candelora e la vernata

«Delle cere la giornata

ti dimostra la vernata,

se vedrai pioggia minuta

la vernata fia compiuta,

ma se vedi sole chiaro

marzo fia come gennaro.»

Questa è una versione in dialetto napoletano riguardo alla Candelora e la fine dell’inverno:

A Cannelora Vierno è fora! Risponne San Biase: Vierno mo’ trase! dice a vecchia dint’ a tana: …nce vo’ ‘nata quarantana! cant’ o monaco dint’ o refettorio: tann’ è estate quann’ è Sant’Antonio!

(«Alla Candelora l’inverno è finito! Risponde San Biagio “L’inverno ora inizia!”. Dice la vecchia dentro la tana “Ne mancano ancora 40”. Canta il monaco dal refettorio “L’estate arriva quando viene Sant’Antonio”». Ovviamente ci si riferisce a S. Antonio da Padova, che ricorre il 13 giugno, e non a S. Antonio abate, che ricorre il 17 gennaio.)

Il dialetto foggiano esprime questi proverbi sulla Candelora e l’inverno:

Se p’a Cannelore ne chòve ‘u virne se ne more

(“Se nella Candelora non piove/ l’inverno muore.” G.Ruggiero)

A Cannelore, a vernate esce fore. Respunnija a vecchija arraggiate: nun è sciuta a vernate se nun arrive ‘a ‘Nnunziate, e se vuje esse chiù secure, quanne calane i meteture

(“Alla Candelora l’inverno esce fuori. Rispose la vecchia arrabbiata: non è uscito l’inverno se non arriva l’Annunziata (25 marzo) e se vuoi essere più sicuro, quando calano i mietitori.” G. Donatacci)

La Candelora e il vino

«Se per la Candelora il tempo è bello

molto più vino avremo che vinello.»

Il 2 febbraio è uno di quei giorni, dispiegati nel calendario, utili, in base alle credenze popolari, per trarre auspici per il futuro, per predire l’esito dei raccolti. In fondo, da un punto di vista tecnico-agricolo, è effettivamente importante che, in certe fasi dello sviluppo del grano e della vite, le condizioni meteorologiche siano favorevoli.

La Candelora, la pioggia e la neve

«Se nevica per la Candelora

sette volte la neve svola.»

«Se piôv par Zariôla

quaranta dè l’inveran in z’arnôva.»

(dialettale romagnolo)

(“Se piove per la Candelora si rinnovano quaranta giorni d’inverno”). In questo caso, il proverbio romagnolo vuole evidenziare come la giornata della Candelora si trovi a metà strada tra il Natale e la metà di marzo, quindi non è impossibile che altri quaranta giorni di cattivo tempo possano trascorrere prima degli attesi spiragli primaverili.

La Candelora, la pioggia ed il vento

«Da la Madona Candeòra

de l’inverno semo fora;

ma se xe piova e vento,

de l’inverno semo drento.»

(dialettale veneto)

(“Dalla festa della Madonna della Candelora siamo fuori dall’inverno; ma se piove o c’è vento, siamo ancora in inverno.”)

«A la Madonna Candelora de l’inverno semo fora,

ma se piove e tira vento, de l’inverno semo dentro»

(dialettale umbro)

(“Quando c’è la Madonna Candelora siamo usciti dall’inverno, ma se piove e tira vento allora è ancora inverno”)

«Col dì de’a Candeòra

de l’inverno semo fora;

ma se piove o tira vento,

de l’inverno semo ancora ‘rento.»

(dialettale veneto)

(“Col giorno della Candelora dall’inverno siamo fuori; ma se piove o c’è vento, siamo ancora dentro l’inverno.”)

«Pella ‘Andelora

se pioe o se gragnola

dell’inverno semo fora;

ma se sole o solicello

semo ancor in mezzo a i’verno.»

(dialettale toscano)

(“Per la Candelora, se piove o se grandina, siamo usciti dall’inverno; ma se c’è il sole più o meno sereno, siamo ancora in mezzo all’inverno”)

«Il di’ dla Candelora

de l’inverno sem fora

ma se piov, fioca o tira il vent

in dl’invern andem in den»

(dialettale lodigiano)

(“Il giorno della Candelora siamo fuori dall’inverno, ma se piove, nevica o c’è il vento, andiamo dentro nel (pieno) inverno”)

La Candelora e le uova

«De la Candelora

ogni aceddu fa la cova»

(dialettale salentino)

(“Dalla Candelora ogni uccello fa le cova”). In questo caso il proverbio ci proietta verso Pasqua.

«Da Candalora, cu on avi carni

s’impigna a figghjiola»

(dialettale calabrese)

Questa è invece una versione calabrese riguardo alla Candelora.

La Candelora, l’orso e la terra

«Se l’ors a la Siriola la paia a fà soé

a’nt l’invern tornoma a intré»

(dialettale piemontese)

(“Se l’orso alla Candelora fa asciugare la paglia (il giaciglio), si rientra nell’inverno”).

Il proverbio, noto in Piemonte e Valle d’Aosta, ci riporta sia alla credenza dell’orso lunare, che esce dalla tana nella notte del 1° febbraio e osservando la posizione della luna percepisce se la primavera è in arrivo, sia al Santo che si festeggia proprio in questo giorno: sant’Orso. Il pagliericcio, messo ad asciugare nel primo giorno di febbraio, rimanda direttamente alla maschera dal momento che, il “materasso” su cui dormivano i contadini era, per l’appunto, fatto di paglia o foglie secche.

In altre regioni viene utilizzato il lupo o il leone come protagonista simbolico di questo proverbio che esplora le dinamiche interne della terra, che proprio nel momento di maggior gelo, ricominciano a risvegliare gli elementi assopiti e quindi al di sotto di una superficie brulla corrisponde una vita intensa.

Non è un caso se il termine febbraio derivi dal latino februus (“purificante”), associato al periodo annuale di purificazione e quindi di rinascita della natura e dello spirito.

La Befana

La Festa della Befana ha origini molto antiche, anzi antichissime, risale ad un tempo remoto quando le prime civiltà dell’Europa, di quella civiltà chiamata dell’Antica Europa da Marija Gimbutas, sviluppatasi nel nostro continente molto prima dell’arrivo della cultura indoeuropea, una civiltà antica e matrilineare.

La Festa della Befana viene celebrata ancora oggi il 6 gennaio in molti paesi dell’Europa, ma anticamente, molto tempo prima dell’apparizione di Babbo Natale, era una festa legata al Solstizio d’Inverno dove una vecchia signora chiamata Befana, porta dei doni e dei dolci per i bambini buoni e del carbone per quelli che sono stati meno buoni.

La Befana, che non si chiamava con questo nome al tempo delle civiltà matrilineari dell’Antica Europa, rapprenentava la Dea Madre ormai anziana, la Nonna, che veniva in visita la villaggio la notte più lunga dell’anno e portava dei doni alle famiglie, non solo ai bambini, per aiutarli a superare il periodo più buio e più freddo e per festeggiare la fine del periodo dominato dall’oscurità e dal freddo e il lento ritorno del periodo dominato dalla luce e dal calore. La Befana, la Dea Madre/Nonna era rappresentata dall’anziana del villaggio e i suoi doni erano cibo, dolci, frutta secca e soprattutto semi di vari tipi, alcuni dei quali potevano essere piantati con la nuova primavera.

Con il tramonto delle civiltà dell’Antica Europa non tramonta il mito della Befana e la festa viene ancora celebrata, la Befana era la Dea Madre, la Nonna, legata allo spirito della foresta, della terra e del passaggio del tempo, ed è spesso associata alla figura della Dea Ecate. Nell’antica Grecia era associata ad Hera che portava dei doni alla fine del vecchio anno e all’inizio del nuovo.

All’epoca dell’Antica Roma la Befana era Diana che volava sui campi per renderli fertili, ma era anche la Dea Romana della Sabina di nome “Strina” o “Strenia“, e la festa era la festa delle strenne, i doni portati dalla dea Strina. Il Rev. John J. Blunt, nel suo libro “Vestiges of Ancient Manner and Customs, Discoverable in Modern Italy and Sicily”, del 1832, scrive: “La Befana discende dalla Dea pagana Strenia, che portava i doni dell’anno nuovo, le “strenne” che da lei prendono il nome. I doni portati dalla Dea Strenia sono gli stessi di quelli che porta oggi la Befana: frutta secca e miele. La festa era osteggiata con forza dai primi cristiani per via dei costumi troppo rumorosi e licenziosi delle celebrazioni”.

La Befana è la Dea Madre porta abbondanza e rende fertili i campi, gli animali e gli esseri umani e dona i nuovi semi da piantare in futuro quando assume il suo aspetto di crona, di anziana, ormai non più fertile lascia gli ultimi doni prima di morire per rinascere di nuovo giovane e vigorosa nel nuovo anno. In un’incisione di Bartolomeo Pinelli del 1825, la Befana è rappresentata come la Dea Madre assisa su un trono e circondata da frutta, semi e altri prodotti del raccolto.

Oggi la Befana è rappresentata come una vecchia signora che vola nel cielo a cavallo di una scopa, vestita con abiti logori con un foulard in testa e uno scialle di lana nera sulle spalle, che porta un sacco pieno di doni per i bambini. La Befana mette i suoi doni nelle calze che i bambini lasciano appese al camino, e lascia i suoi doni la notte della vigilia del 6 gennaio. Ma la Befana, secondo alcune tradizioni popolari, deve morire, come deve morire il vecchio anno e come deve morire il periodoi dell’anno dominato dall’oscurità e dal freddo e come devono morire, per completare il ciclo naturale di nascita-vita-morte, i vecchi. La morte simbolica della Befana è rappresentata ancora oggi bruciando un pupazzo di legna secca dalla forma di una vecchia signora con una scopa.

I cristiani, gli ultimi arrivati in Europa, non potendo soffocare la festa della Befana e un’usanza così antica, pensarono bene di mascherarla sotto le spoglie delle storie legate all’Epifania di Gesù.

Flavia Wolfrider